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Immagine del redattoreMassimo Vignoli

Crescere come fotografi


Spesso, quando vedo fotografie particolarmente creative, mi chiedo “ma come accidenti avrà fatto a pensarla?" Sempre, concludo dicendomi che l’autore è un vero genio, ha talento e lo fa per mestiere quindi riesce a dedicarci un mucchio di tempo.Di sicuro questi - talento e tempo - sono ingredienti determinanti. Ma non sono gli unici.Per migliorare, per arrivare a fare foto sorprendenti come le sue, occorre provare a fare quello che non si è capaci a fare. Uscire, a tentativi ed esperimenti, fuori dalla confort zone e fare cose delle quali non si è sicuri. A volte nemmeno un po’. 

Tanti anni fa, quando ho iniziato a fotografare, seguivo un consiglio del mitico, almeno per me, John Shaw, che suonava più o meno così: quando hai fotografato il tuo soggetto come hai pensato di fotografarlo…. prendi dalla borsa la lente per te meno adatta e provaci con quella. Devo dire che l’ho seguito per anni, ma da molto faccio una cosa diversa: penso all’effetto che cerco e provo a realizzarlo. Ma così niente mi sorprende se non, a volte, il riuscirci.

Io credo molto che sia importante crescere come fotografi anzi, meglio, come artisti. Per questo cerco di dedicare tempo a questi argomenti. Purtroppo, la maggior parte delle volte trovi le ricettine trite e ritrite, come la regola dei terzi o l'istogramma svelato o...

A volte, invece, inciampi in qualcosa di illuminante: il racconto di come Paul Nicklen è arrivato a produrre le sue immagini migliori. Lo scrive in un suo ebook, intitolato Photographing WILD insieme a molte altre cose interessanti. Lo consiglio a tutti, 20$ molto ben spesi secondo me - lo trovate qui.Questa la copertina.

Che dice il buon Paul? “Get the safe shot. Make it sharp. Then put your energies into making something great, something that will draw the viewer in. And then you’ve done that, take it one step further”. Insomma metti al sicuro il risultato minimo, poi prova ad andare oltre. E poi prova ad andare ancora più in là. Era ovvio, è un artista. Non può essere un consiglio pratico su come muovere le ghiere. Non di meno l'ho trovato illuminante perché razionalizza quello che a volte provo a fare. E perché è utile farlo.

Ha dato un nome a questa pratica, la chiama 20-60-20.

Il primo 20 è finalizzato a mettere in sicurezza il risultato, fare in modo di non tornare a casa con le tasche vuote. Beh, lui lo fa per lavoro e deve produrre. Ma notate che questa è la parte più piccola del tempo. Quella che, se si domina la tecnica, produce fotografie che sono commentate come “Che dettaglio! Che nitidezza! Tecnicamente perfetta!”. Magari anche “ben composta!”. Insomma, una buona immagine. 

Purtroppo è qui che i comuni mortali come me si fermano troppo spesso. Dedicando tutto il restante tempo… a rifare foto sostanzialmente come quelle già fatte. Certo non sempre, perché si cambia soggetto, a volte punto di vista. Ma raramente davvero “altre foto”, perché quello che non cambiamo è la cosa più importante: il modo di fotografare.

Lui, invece, cambia marcia ed entra nel secondo stadio, il 60. Che rappresenta la maggior parte del tempo della sessione. Perché una buona immagine non è il suo obiettivo, lo è una grande immagine. Questo è il momento in cui lui spinge se stesso oltre. Quando sperimenta, fa cose che non ha fatto prima…. E guarda cosa succede. Fino a quando non esce fuori qualcosa di cui è soddisfatto. Non l’immagine nitida-bene a fuoco-ben composta, ma quella speciale perché non è la solita immagine. E’ quella che stupisce, che colpisce chi la guarda.

Poi c’è l’ultimo 20. Quando butta fuori le idee improbabili o impossibili. Ma le prova!Racconta “Una volta ho fatto un’esposizione di 18 secondi di un sommozzatore di notte, a mano libera con una camera subacquea mentre venivo martellato da forti correnti, e quella fotografia è una delle mie favorite di quel incarico (NDR: del National Geographic)”.

Ammette che la maggior parte di quelle fotografie sono da buttare, ma dice anche che, facendole, sempre impara qualcosa e fotografando in quel modo cresce come fotografo.

“That is my own personal school of growth, and that growth always expands”.

Insomma, non è importante quante foto si fanno, se si vuole l’immagine speciale occorre prendere dei rischi, uscire dalla confort zone di quel che si sa fare, del "modo giusto” di farlo. Perché così si imparano altri modi di fare, che ampliano quella confort zone. Il processo si ripete e nel mentre si fanno foto speciali.Nel processo, continua, non preoccuparti se le butti quasi tutte. L’importante è provare a fare grandi immagini e, sbagliando, imparare. Il problema non è fallire, è non provare! 

Non ho messo didascalie sui dettagli tecnici delle immagini, ma non ho neppure tolto gli exif. Per cui chi non ha capito cosa intendo con l'articolo può andare a leggerli. Ma con l'ultima, che fa da copertina e da chiusura di questo articolo, ringrazio il mio amico Alberto. Con il suo stimolo ho provato i tempi lunghi a 840mm a mano libera, per vedere l'acqua che scorre. E con ostinazione ho cercato il tempo giusto, tra 1/10 ed 1/100, che facesse proprio quel filato li. E si, per averne con il Merlo acquaiolo nitido c'è voluta parecchia pazienza.... già, il 60! Incidentalmente, vedi l'ironia, era 1/60!


NDR Francamente non sapevo come illustrare questo articolo, non potevo prendere immagini di Paul e mi sentivo in imbarazzo ad utilizzare immagini mie, temevo lo consideraste superbia. Ma non potevo non metterne. Allora ne ho scelto alcune, l’unico collante tra di loro è quello di essere “immagini provate”. 


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